“Ho trentadue anni – racconta Salvo – e sono nato e cresciuto in un quartiere che dicono sia ad alta concentrazione di delinquenza e mafia”
Una storia come tante altre per una città come Catania. Un ragazzo viene arrestato per spaccio di marjuana, sei mesi di carcere in Piazza Lanza e poi nuovamente fuori. L’esperienza positiva in carcere (si trovava bene con i suoi compagni di cella e poi lì dentro lavorava e si guadagnava qualcosa), lo portò a supplicare il direttore della casa circondariale a non rilasciarlo. E ora fuori cosa avrebbe fatto? Come avrebbe provveduto al suo avvenire?
“Sono cresciuto in una famiglia numerosa e vivo ancora con i miei genitori e altri quattro fratelli. Uno di loro purtroppo è morto durante un incidente stradale mentre si stava recando a lavoro. Una di quelle disgrazie familiari che colpisce tutte le persone comuni. Fa rabbia pensare che fosse l’unico ad aver trovato un lavoro decente, nonostante non fosse messo in regola. Mio padre non lavora più da tempo, è in pensione, mentre tutti gli altri fratelli si sono sposati ed hanno la loro famiglia alla quale pensare”.
“Da bambino andavo in una scuola cattolica. Di studiare non me ne importava molto. Ho preso la licenzia media a diciassette anni, in una scuola del quartiere. Finita la scuola ho da subito cercato qualcosa da fare, ma ho avuto solo due esperienze lavorative stagionali nel periodo estivo, come addetto alla sicurezza, ma poi più nulla”.
“Avrei tanto voluto fare il lavoro di mio padre. Lui vendeva il pesce con un furgoncino, ma non avevo soldi per prendere la patente, acquistare un furgone, carburante, bollo, assicurazione e tutte le autorizzazioni necessarie per fare il venditore ambulante”.
“Dai diciassette anni fino ai ventisette, è stato un calvario. Non ho trovato nulla.”
“Quando chiedevo in giro un posto mi rispondevano – Ccu ‘sta fami ca c’è, mi cecchi u’ travagghiu? e iu comu avissi a mangiari … Ppi sfamari a’ tia? – ”.
“Un giorno vengo avvicinato da due ragazzi su uno scooter, mi dicono – Vo’ travagghiari? –. Un lavoro semplice semplice. Ogni mattina mi dovevo recare in un garage del quartiere, prendere la roba e aspettare in strada che venissero gli acquirenti. Ragazzi, studenti, professionisti, appuntati, gente altolocata, ce n’erano per tutti i gusti. Lavoravo dalle otto fino a mezzanotte. Non c’erano giornate magre. Le mie cento euro al giorno le portavo a casa. Era solo una piccolissima parte del guadagno giornaliero, ma andava bene così”.
“Tre mesi di questa vita, poi un giorno vennero le pattuglie della polizia, ci fu la rischiosa fuga, e poi la cattura. Non mi trattarono male, tutto sommato fui fortunato”.
Salvo da cinque anni raccoglie asparagi, vaccareddi e finocchietto selvatico nelle campagne incolte. Chiede che gli venga fatta una foto per l’intervista. Un bel primo piano. “Perché quando ti buttano dentro esce una bella foto segnaletica sul giornale, e non adesso che sono libero e vendo asparagi alla fiera? Ho voglia di riscattarmi”. Il primo piano è stato realizzato ed è doveroso pubblicarlo. “Il lavoro nobilita l’uomo e io ho un gran voglia e necessità di lavorare, ma il nostro paese non ci mette nelle condizioni di vivere dignitosamente, di creare le basi per farsi una famiglia”.
E alla domanda se fosse innamorato di una ragazza, Salvo risponde – “Non me lo posso permettere”.
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